My Morning Laughter (Moj jutarnji smeh) di Marko Đorđević, microscopico registro di umanità in divenire, la giovinezza che si schianta contro la conquista della sessualità

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Moj Jutarnji smeh

My Morning Laughter (Moj jutarnji smeh) di Marko Đorđević è un microscopico registro di umanità in divenire, la giovinezza che si schianta contro la conquista della sessualità

My Morning Laughter (Moj jutarnji smeh) ovvero tutte le risate che occorre fare, ripetere ogni volta che si parla di crescita sessuale, per cercare di sdrammatizzare uno dei momenti più delicati della vita di una persona: la perdita della verginità sessuale.

Ma in totale contrasto il protagonista raccontato da Marko Đorđević è un microscopico universo molto drammatico in certi casi morboso, con perimetri strettissimi tra le mura domestiche, mentre di esterno si vede poco o nulla, giusto la neve che ricopre completamente tutte le abitazioni.

In questa candida, sommersa atmosfera, i giovani di tutto il mondo crescono “viziati” all’interno delle rispettive famiglie. E basta una mamma leggermente chioccia, pronta a correre per il figlio, e a giustificarlo anche quando si comporta da scemo a 28 anni suonati, per capire che le cose non vanno tanto bene.

Così Marko Đorđević finisce col descrivere in modo davvero eccellente tutti gli errori quotidiani nei nuclei famigliari e soprattutto quelli più ristretti dove l’asse principale è quello madre figlio e le figure paterne sono scomparse.

Ma al di là di psicologismi scontati, quello che a noi interessa è il modo con cui il regista Marko Đorđević rappresenta questo racconto di formazione incentrato sul “ritardo” da parte del protagonista del primo fatidico rapporto sessuale.

Prima di tutto ci insegna l’imbarazzo nel ragazzo di fronte a questo ipotetico evento, che finisce per cancellare ogni tipo di espressione istintiva. Bene fa il guru, mago, lettore perfino di fondi di caffè, a cercare di scuotere le coscienze assopite di genitori e figli, piuttosto ignare del loro destino se continuano ostinatamente nella loro perversione “infantile”. Crescere, infatti, significa abbandonare il mondo dorato e guardare in faccia la realtà, accetttando la responsabilità della propria evoluzione anche e soprattutto a costo di allontanarsi dalle zone di confort.

Chissà come l’incontro con il veggente sembra sortire il suo effetto, nonostante madre e figlio scappino inorriditi.

Marko Đorđević mostra una grande capacità nella scelta delle inquadrature, sempre molto originali, perfino sovversive alle sciape alternanze di campi e controcampi e tagliando le inquadrature spesso in modo brutale, guardando con la cinepresa dal basso o dalle spalle del protagonista. Ma ogni scena è come amplificata dai sentimenti, dalle passioni e drammi quotidiani percepibili in modo straordinario grazie alla eccellente capacità attoriale degli interpreti: bellissima per esempio una scena di silenzio tra madre e figlio ed anche quella in cui lo zio viene a casa per la morte del fratello e telefona al prete amico per cercare di fargli celebrare il funerale. Segni importanti che rimandano a tutto un mondo fuori dal raccconto extradiegetico che Marko Đorđević lascia all’immaginazione dello spettatore.

Visto al Trieste Film Festival

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