Listen di Ana Rocha de Sousa: adozioni predatorie

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Le adozioni forzate sono il tema di Listen, diretto da Ana Rocha de Sousa, con famiglie predate da invisibili soggetti del sistema. Dopo il Festival di Venezia il film arriva su MioCinema

Il film si chiude citando il “sistema” e qui mi sembra che a tirarlo in ballo come responsabile non basti proprio… Burocrazia… e pure un sistema di norme che fanno in modo che quando una pratica si avvia la conclusione è sempre a favore dei predatori…

In questa guerra dolorosa Ana Rocha de Sousa ha buttato dentro questi fragili personaggi, perché la famiglia protagonista sembra colpita da ogni tipo di problema oltreché economica.

Il pater familias Jota interpretato da Ruben Garcia è un artista (come la regista si dedica alla pittura, al disegno, ai ritratti veloci… ) appare abbastanza trasandato… fuma, ma senza un quattrino e la fabbrica dove lavorava sembra che lo abbia sospeso per qualche motivo o comunque lo utilizza saltuariamente e lui aspetta l’ultima paga…

La protagonista Bela interpretata dalla vivace artista Lúcia Moniz (è anche una cantante) non ha problemi a derubare un piccolo market, ad arrivare sempre in ritardo, ma per tutto il film gioca un ruolo di esemplare paladina con il climax della arringa davanti al giudice con il marito che la guarda stupito, tanto che dopo le dirà quanto sia rimasto sorpreso della sua capacità di elaborare quel discorso e specie non nella lingua madre, ma in in inglese: la forza di una madre disperata?

Il figlio maggiore di 12 anni, Diego, interpretato da James Felner, è invece malaticcio per tutto il film, poi anche ribelle di fronte agli stessi assistenti sociali che lo strappano alla sua famiglia…

La figlia di 6 anni Lu, interpretata da Maisie Sly, è invece sorda e subirà anche la rottura dell’apparecchio: questa sembra essere la vera chiave di volta per giustificare l’attenzione da parte dell’assistenza sociale, in quanto i genitori non sono in grado di acquistare un apparecchio nuovo…

Di fronte al potere sommerso dei servizi di assistenza sociale, che già avevamo visto in molti altri film… (vedi il recente bellissimo Otac – Father), e laddove si apre qualche pietosa crepa nel personale che fa il suo dovere malgrado la minaccia del licenziamento, è chiaro che non basta per analizzare la superficie di un fenomeno che dovrebbe affondare in ben altri interrogativi urgenti…

Prima di tutto dove vanno a finire i bambini strappati alle famiglie e come possa essere accettabile traumatizzare le vittime di questo abuso. Non si tratta soltanto di leggi ingiuste, ma di esaminare a fondo cosa ci sia davvero dietro una impalcatura così vergognosa…

Il film di Rocha sembra più concentrato sul dolore famigliare, sulle reazioni individuali, laddove nella coppia si sviluppano anche accuse l’uno contro l’altro per varie responsabilità, ma tutto questo sembra davvero inutile.

Che le condizioni delle famiglie siano in qualche caso disastrose – qui in effetti si fa un po’ di raccolta di elementi sgradevoli a mo’ di giustificazione dell’operato della legge – non giustifica il fatto di non occuparsi di quelli che possano godere di tali predazioni: chi sono e perché possono essere autorizzati nella cruda compravendita di un essere umano, perché di questo si tratta…

Tali esercizi della legge potrebbero essere giustificati nell’accertamento completo di violenze da parte di genitori nei confronti dei figli, ma ricordare questo è banale.

La drammaturgia del film con tali protagonisti arriva praticamente in automatico, basta un niente per riuscire ad amplificarla, come l’incontro/scontro assurdo nelle stanze dei servizi sociali, dove alla madre viene vietato l’utilizzo della propria lingua e delle mani per comunicare meglio con la figlia sorda…

Il fatto di esser girato quasi tutto negli interni delle misere abitazioni aumenta ancora di più il senso di fatiscenza della situazione, di dolore e compassione per questi personaggi che sembrano attraversare un illimitato inferno in terra.

Lo stile vorrebbe essere quello veloce e naturale alla Ken Loach, la storia ambientata in UK poi ricorda le stesse atmosfere, ma anche la lingua portoghese (da vedere assolutamente in originale e non doppiato) spinge il film verso una semplice cronaca documentaristica in cui le varie pieghe della storia sono visivamente dettate dalle contingenti situazioni.

Come il titolo “Listen” (“ascolta”) suggerisce: guardare e sentire davvero e più in profondità per superare il tema del film, andare oltre tutti insieme, sia le vittime che i carnefici incaricati, anche questi non ce la fanno più a recitare la loro stanca parte. Andiamo a stanare chi c’è dietro questi abusi, tutti insieme.

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