Ma nuit di Antoinette Boulat: alla (ri)scoperta dello spazio emotivo
Ma nuit di Antoinette Boulat: alla (ri)scoperta dello spazio emotivo… che libera dall’oppressione delle oscurità
Ma nuit di Antoinette Boulat: alla (ri)scoperta dello spazio emotivo… che libera dall’oppressione delle oscurità.
Coordinate dello spazio cinematografico solo “francese”, poiché è difficile trovare in altre cinematografie un tale “spaesamento” o meglio un vero e proprio “detour” o ancora più “detournement”, ovvero deviazione.
Soltanto un film come Fuori Orario (Martin Scorsese), in quel lontano 1985 annunciava una sorta di caos esterno ed interno, mentre Boulat sembra partire ancora prima sulle tracce del Il segno del leone di Eric Rohmer.
Si tratta di giri a vuoto lungo direttrici urbane che hanno il sapore sempre più di una maledizione. E dentro l’inferno giunge la consapevolezza di un’operazione di geoingegneria… roba buttata lì come risorsa di un dialogo o segno molto più importante di quello che la stessa autrice immaginava?
Eppure è proprio così, a (ri)farsi le domande importanti sulla morte e sulla vita, giacché il film inizia dal lutto della sorella della protagonista e si arriva poi a domandarsi perché la vita è così difficile in piena crisi di panico.
Tutte le relazioni sono impossibili, poiché dettate dalla superficie ed alla apparenza: così la prima parte scivola per la giovane protagonista Alice, interpretata da una Lou Lampros in stato di grazia, dietro il percorso “giovanile” stereotipato del lasciarsi andare, arrivare allo stremo per non pensare più a niente, in un a festa che ha il colore nichilistico di una fusione a somma zero per tutti…
Solo la fuga allora permetterà di riprendere un percorso che può anche favorire ALTRI incontri con esseri viventi che sono consapevoli di camminare sul filo di un’esistenza, laddove inganno e manipolazione la fanno da padroni.
Così, rispetto al Detour, di Ulmer, qui siamo dalle parti di un “nuovo mondo” oltre il “noir” del secolo novecento… il terzo millennio con la presenza e scomparsa della città, col territorio urbano infinito che non può più definitivamente essere luogo dalle scintillanti prospettive come nella visione più ottimistica della Nouvelle Vague.
Lo spazio emotivo che Alice disegna va dalla prima all’ultima inquadratura, quella che può infine regalarci una forza per sostenere qualsiasi ombra, la luce del giorno che finalmente arriva e simbolicamente abbraccia la giovane verso un futuro in cui è soltanto l’umanità a governare se stessa e non i minacciosi predatori dell’anima.