Una bugia per due di Rudy Milstein, chi inquina deve pagare… non solo col denaro

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Una bugia per due

Rudy Milstein con Una bugia per due dirige una commedia vagamente militante in cui l’opposizione tra verità e bugia alla fine prende la direzione più etica

In Una bugia per due la velocità è tutta francese della commedia quasi screwball, con dialoghi vivacissimi, con caratterizzazioni che sono efficacissime, silenzi, prossemica, ipocrisia, e anche attivismo militante…

Milstein è in grado di puntare al nocciolo della questione, ovvero se la persona umana è capace o meno di sotterrare ogni principio di verità di fronte a cifre milionarie.

Ed in un certo senso la via del denaro sembra proprio quella in grado di chiudere i giochi… Di fronte a una danno evidente la società milionaria di turno preferisce risarcire le vittime dell’inquinamento prodotto che ha causato il cancro ad un gruppo di lavoratori… e naturalmente di fronte ai milioni si arriva a una cifra in grado di chiudere qualsiasi dibattito giurisprudenziale, insomma un accordo che serve a insabbiare i danni che le industrie provocano non soltanto ai loro dipendenti, perché alla fine la morale è proprio questa.

Vincent Dedienne nei panni di Louis, l’avvocato che vorrebbe fare carriera, si trova di fronte al cavallo di troia che gli permette di sfruttare la posizione di malato di cancro, anche se poi giunge la diagnosi definitiva, che dice tutto il contrario.

Il titolo italiano “una bugia per due” è abbastanza idiota, si riferisce al fatto che nella storia è proprio la bugia a scombussolare le carte in tavola e ad aprire degli orizzonti nuovi. Mentre il titolo francese “non sono un eroe” è altrettanto insipido, poiché il protagonista davvero all’inizio si comporta come la maggioranza delle persone, pensando solo a se stesso.

Poi, nella seconda parte del film entriamo in contatto con l’assoluta alterità. E qui Milstein piazza dei jolly o dei gioielli di senso.

Il primo è un giovane uomo, Bruno, interpretato dallo stesso regista, che ha avuto un ictus ed è diventato come un pezzo di legno che non prova alcun sentimento fino al punto che in un giradischi vede solo un vinile che gira e una puntina che trasforma i solchi in suoni, ma la musica non produce in lui alcuna emozione… Ma anche questo porterà a un straordinario sviluppo.

Il secondo jolly è Julien El-Kabet (Rabah Nait Oufella) un ragazzo, malato terminale, che diventa sempre più intimo di Louis, gli confida il sogno di aprire un bar proprio con i soldi del risarcimento, perché alla fine anche se morirà avrà coronato un sogno…

Infine, terzo jolly è l’attivista Hélène Smill (Géraldine Nakache), che presiede l’associazione delle vittime dell’inquinamento, una caratterizzazione davvero efficace che ribalta completamente la superficiale percezione di frustrata rompiballe, paranoica per trasformarsi in una autentica creatura di fierezza ed amore che ribalta pure il senso di bellezza esteriore/interiore, messa a confronto diretto con l’altro personaggio, l’attraente manager Elsa (Clémence Poésy), cui cadrà infine la maschera…

Per Milstein si tratta di un debutto alla regia, ma i suoi punti di forza sono senz’altro la scrittura del film insieme a Théo Courtial e Gaëlle Macé.

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