Due uomini, quattro donne e una mucca depressa: il cinema corale che diventa realismo magico

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Due uomini, quattro donne e una mucca depressa

Il realismo magico di Anna Di Francisca è davvero sorprendente. I suoi personaggi sembrano non avere alcun legame col reale, eppure sono ossessionati dai più comuni problemi quotidiani

Il realismo magico di Anna Di Francisca è davvero sorprendente. I suoi personaggi sembrano non avere alcun legame col reale, eppure sono ossessionati dai più comuni problemi quotidiani. Ma basta la presenza della mucca "depressa" che muggisce o delle cicogne che sembrano voler benedire le case portando i bambini come nelle favole.

Bastano questi pochi elementi per sprofondare in un immaginario adiacente a quella materia bruta delle vite. Nei personaggi riconosciamo i vizi e le virtù, ma anche le paure o semplicemente le illusioni, o le allusioni, i pensieri in libertà che spesso relegano la nostra vita a una dimensione astratta: bellissimo in questo senso è la prima conversazione delle quattro protagoniste femminili che cercano di indovinare le caratteristiche dello straniero appena arrivato. Sarà gay? Oppure è sposato... con l'italiano qualche peccatuccio lo farei... e così via.

Tutti i dialoghi sono costruiti su questa sorta di spensieratezza a volte surreale, laddove i più tragici sentimenti finiscono per trasformarsi in banalità senza alcun senso. Proprio come nel miglior cinema sudamericano o comunque spagnolo, il surreale alla fine comunica un paesaggio umano reso ancora più unito da quel coro (non fosse altro appunto che di messa in scena corale si tratta).

Di Francisca raggiunge un ottimo risultato, grazie anche ai suoi splendidi attori, tutti davvero al top in stato di grazia (perché recitare su quel registro metà reale metà fantastico non è mica facile), tra i quali non ci sentiamo di segnalarne uno più di un altro, tanto sono tutti perfettamente godibili.

Due uomini, quattro donne e una mucca depressa rappresenta un po' la conferma che la commedia, come diceva il grande Billy Wilder, è il genere cinematografico più difficile. E soltanto grandissimi registi ed attori riescono a centrare l'obiettivo al cento per cento.

Ci sentiamo di dire che siamo in uno di quei casi, davvero ambiziosi ed arrivati per fortuna in porto senza lagne e pistolotti di contorno. Con quella leggerezza e grazia che sono doti rare nel cinema contemporaneo.

Non ci si stanca mai di vedere questi personaggi ed è buona l'idea di continuare il racconto tra i titoli di coda, anche se ormai lo fanno un po' tutti. Ma il desiderio di vedere concludersi le loro storie personali era troppo grande.

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