“Coronation”: il documentario che rivela il lato oscuro della pandemia in Cina
Coronation, il documentario di Ai Weiwei rivela le responsabilità della Repubblica Popolare di Cina nella diffusione del virus, nell’averlo nascosto alle complici autorità internazionali dell’OMS e soci
Scrivo queste righe su “Coronation” di Ai Weiwei, con un misto di soddisfazione e stupore, quale raramente davvero mi è mai capitato essendo l’atto dello scrivere di cinema scevro, da praticamente ogni sensazione di appagamento personale, o realizzazione di sé in alcun senso.
Affermo questo poiché caso assordante nel suo silenzio, il documentario di Weiwei sulle responsabilità della Repubblica Popolare di Cina nella diffusione del virus, nell’averlo nascosto alle complici autorità internazionali dell’OMS e soci, e soprattutto – come ben mostra questo documento video e audio girato proprio a Wuhan durante i primissimi mesi della pandemia tra gennaio e aprile 2020 -, nell’aver esportato e imposto per emulazione autoritaria delle cosìddette “democrazie capitalistiche” la “soluzione” di contrasto all’epidemia dei “lockdown” o quarantene, con il voluto effetto catastrofico a pioggia su economie e società occidentali.
Queste responsabilità delle PRC come introducevo, sono e permangono enormi. Eppure non troverete neppure una riga di recensione se non qualche mera riga puramente di descrizione tecnica, per questo importante se non senza iperboli importantissimo documento del momento storico in cui viviamo e di ciò che foscamente ci aspetta, su nessuno dei principali siti e canali informativi di cinema e spettacolo, italiani, né online né cartacei, tranne poche sparute e rare eccezioni, come questa di FareFilm.it.
Sappiamo bene come nonostante il nome di Ai Weiwei sia di caratura e considerazione internazionali, piaccia o non piaccia il suo tipo e stile di “arte visiva”, molto stranamente a dir poco il suo “Coronation” è stato rifiutato, a differenza che i precedenti documentari, da tutte le maggiori rassegne cinematografiche che abbiano avuto luogo nel difficile anno pandemico 2020-2021, sia le poche che hanno potuto svolgersi in presenza di pubblico e incontri con gli autori, che la maggior parte svoltisi a distanza, compreso il Festival del Cinema di Venezia.
In questo ultimo caso per petita excusatio dal suo direttore Barbera, che si è giustificato con la abbastanza contestabile motivazione della scarsa qualità e motivo di interesse generali, scaturiti dall’opera. Risibile e piuttosto ridicola come scusa, visto il livello artistico ed espressivo spesso quello sì “generale” di certa roba proposta alla visione in concorso come fuori concorso, negli ultimi anni. Che però, soprattutto per quanto riguarda i non pochi film della stessa PRC, aveva evidentemente il timbro di approvazione della onnisciente e onnipresente commissione per la censura del Dragone, la quale approva senza alcuna possibilità di aggiramento o evasione, ogni prodotto audiovisivo realizzato e circolante all’interno dei confini continentali cinesi, e soprattutto se deve varcare i confini, e proporsi alla visione di un pubblico straniero.
Approvazione che non può certo mai avere preteso né voluto “Coronation” della persona non grata per eccellenza fra gli artisti cinesi di visibilità e fama mondiale, come l’esule in Portogallo seppure milionario Weiwei. E che vi siano anche le prove di censura strisciante e globale, soprattutto con questo suo documentario, visto il momento di oggettiva forte critica e accusa verso la Cina, da parte degli ambienti meno complici e dipendenti per enormi interessi da essa, e di quanto “Coronation” si sia cercato di osteggiarlo e nasconderlo sotto una coltre di silenzio il più possibile totalizzante.
Fin dall’annuncio della clandestina realizzazione di riprese avvenute a Wuhan per mano di suoi coraggiosissimi collaboratori e contatti da lui diretti in remoto, nel periodo di massima concentrazione e controllo orwelliani della popolazione, motivata dall’esplosione pandemica. Operazione perfettamente portata in porto si potrebbe dire, come ben si evince nella al solito servile e pavida italietta dell’informazione “specializzata”, dei sedicenti giornalisti cartacei ed elettronici, come nella sciagurata e sciamannata fauna dei cosiddetti “youtuber”.
Tutti dipendenti, infatti, dalle affiliazioni ed inserzioni pubblicitarie nei loro canali e nelle loro pagine, che ovviamente come spessissimo accade, sono legate ad aziende cinesi o con interessi in esse, e alle sempre più pervasive organizzazioni di promozione culturale ma sarebbe più opportuno dire “colonizzazione” sempre cinesi, quasi sempre legate ai dipartimenti esteri degli attentissimi e zelanti servizi di infornazione del Governo comunista cinese.
Ma premesso lungamente tutto questo, come è in realtà “Coronation”? Basterebbero le prime immagini sottolineate da una cupa musica elettronica e di introduzione a Wuhan, la grande e popolosissima città del centro della Cina, per rendersi conto che come consapevolezza dell’occhio indagatore di ogni realtà non filtrata dall’artifizio, siamo dalle parti di “Koyaanisqatsi” e altri magistrali esempi documentali non di parte, una sola e sempre quella dominante e vincente, come quelli di Frederick Wiseman. Per quanto riguarda l’ufficiliatà, a fine dicembre del 2019 si confermò a Wuhan il primo caso del nuovo coronavirus. Un mese più tardi, la Cina dichiarò per la metropoli, il suo Stato e gli 11 milioni di abitanti, una quarantena totale. Isolando il territorio dal resto della nazione.
Come ho accennato Weiwei ha diretto “Coronation” dalla Germania, attraverso le istruzioni date via computer a chi compiva le riprese a Wuhan negli ospedali e per le strade, attaverso smartphone e videocamere GoPro nascoste. Il governo totalitario come forse nessun altro al mondo, almeno per i potentissimi mezzi di cui dispone tecnologici, economici e militari, onde esercitare una totale sorveglianza e controllo dei suoi cittadini, della PRC, si è strettissimamente premunito subito di evitare la diffusione delle immagini di cio che stava accadendo. Per questo “Coronation” rappresenta un valoroso intento nel mostrare quali sono state le vere esperienze degli abitanti di Wuhan durante i primi indizi che la pandemia nella città era ormai fuori controllo, e fino a che venne – primo Paese al mondo – dichiarata la fine del confinamento e anche dell’emergenza.
Wuhan è una città ipertecnologizzata e dove le autorità cinesi costruirono addirittura in poche settimane, un nuovo ospedale preposto unicamente agli infettati ricoverati. Molto efficace è il commento di musica elettronica minimalista unita agli scenari futuristici, che sembrano usciti direttamente da “Blade Runner”. Interessanti anche le riprese fatte chissà come visto il controllo totale per mezzo di telecamere in ogni strada della Cina, fatte con i droni sopra le strade e i palazzi, come tra i grattacieli.
L’occhio dell’inquadratura si focalizza spesso sul personale medico degli ospedali e persino al suo interno, fra le corsie e nei reparti di terapia intensiva, bardati come modernissimi astronauti. Viene mostrato il sistema di strette norme di sicurezza e sterilizzazione, del personale medico e poi i pazienti intubati che sembrano già zombi grigi romeriani, completamente sedati e quindi inermi nei loro letti. Circondati da macchinari tecnologici in un ambiente dal contenimento angoscioso di suo al solo vederlo, poiché sembra che essi siano osservati e studiati dai vari sanitari come fossero animali da laboratorio.
Il tutto anche se è di terapia pare strettamente inumano, semplicemente perchè le autorità cinesi non permettono nessun contatto umano con i malati, con la motivazione di contenere un contagio ancora più massivo che potrebbe diffondersi nella popolazione. Tuttavia, ancora non si hanno certezze circa il tasso di trasmissibilità e la mortalità dell’infezione, semplicemente la cosa si è fatta dannatamente seria. Poche altre volte come in “Coronation”, e senza la propaganda del terrore mediatica che tanto ci ha ammorbato nell’ultimo anno e mezzo, lo spettatore può prendere coscienza di cosa significhi essere intubato ad un ventilatore meccanico, la scomodità del procedimento e la fragilità dell’essere umano, in queste condizioni anche ben prima del virus. Tutto questo in forte contrasto con l’Europa e il mondo occidentale in genere, nel quale all’epoca (fine gennaio 2020), l’OMS e certi ministri e sedicenti “esperti” scienziati come in Italia, ancora raccomandavano che l’utilizzo delle mascherine era inutile e superfluo.
È evidente che in Cina avevano già un bell’altro e alto livello di allarme e restrizioni, precauzioni, mentre all’estero ritardavano e minimizzavano le informazioni e gli stessi allarmi, con la criminale complicità della Cina a nascondere e ritardare vitali informazioni, e grazie al silenzio di organismi internazionali in cui il potere cinese economico e politico e di pressoché totale controllo, quale l’OMS. Nel gennaio 2020 questo altissimo livello di controllo e confinamento oltre che restrizioni del movimento e delle attività della popolazione era ristretto ad una sola area della Cina, anche in quel periodo iniziale fra gennaio e aprile del panico mediatico e sanitario poi globale, in Cina si pensava comunque a non paralizzare totalmente le attività economiche e commerciali, senza alcuno degli effetti devastanti che si sono avuti in buona parte delle nazioni occidentali “democratiche” del resto del globo.
Al netto di tutta la propaganda del Partito, in Cina parevano già davvero i più preparati a livello sanitario per un epidemia dagli alti rischi di realizzarsi in una catastrofe. L’occhio onnipresente da “Grande Fratello” dello Stato cinese monitora ogni area dell’immenso suo continente dando persino istruzioni precise a ciascun medico mediante l’utilizzo di auricolari con microfono, mentre gli abitanti di Wuhan, trattandosi di una dittatura totalitaria, venivano isolati da altri esseri umani da un giorno all’altro, senza contatto alcuno, con gli alimenti direttamente recapitati a casa e negli enormi complessi abitativi, da addetti su motorette elettriche a 3 e 4 ruote, tutto questo incominciando ad esportare l’”idea” che ciò andava fatto e sacrificato, altrimenti il virus non sarebbe stato possibile, “controllarlo”.
L’Italia fu poche settimane dopo la prima a recepire questa strategia metodologica, promossa e proposta da una delle peggiori dittature che l’uomo possa ricordare in tempi moderni. I poliziotti, come poi sarebbe accaduto anche qui dall’11 marzo, controllavano i “salvacondotti” per gli spostamenti nelle strade, e in pratica, così come in uno dei tanti film fantapocalittici realizzati, nessun abitante poteva abbandonare la città.
Il Partito Comunista cinese si dimostrò al massimo livello nella sua novantennale Storia, come uno Stato di polizia con il diritto di decidere del destino di milioni di persone. Le interviste realizzate dai coraggiosi collaboratori di Weiwei mostrano una obbedienza molto stretta se non estrema della popolazione, soprattutto quella più anziana, meno dai giovani che cercano di ottenere informazioni non ufficiali e strettamente censurate, piegate al potere, cercandole sulla rete, che però anche quella in Cina come sempre più qui, è sotto il pieno controllo e la totale censura del regime.
Milioni di persone si incaricano di sanificare ogni strada, come cespuglio e albero della città, con apparecchiature dai tratti anche futuristici. Aleggia nell’aria stessa l’idea di uno Stato onnipresente che decide passo dopo passo dei suoi cittadini, e incaricando molto personale di controllare le attività di tutte quelle famiglie che hanno perso qualche parente nella pandemia.
Diventa essa stessa la norma principale che la dissidenza non è permessa: ogni decisione e atto del Partito è per il bene della popolazione, inclusa una anziana ex dirigente sindacale la quale è totalmente indottrinata dalle autorità statali, che ella mai potrà giudicare, poiché non ci può essere alcun dubbio ed equivoco sull’azione dello Stato, dicendolo apertamente anche ad un suo giovane nipote. “Non è buona cosa cercare informazioni su certi canali internet, non sono canali ufficiali.”, insistendo su questo punto. Includendo in questo anche il reparto designato che deve censire le vittime, con un’autorità ufficiale che compete ad uno Stato strettamente poliziesco.
L’eccellenza di questo documentario si fonda sul fatto che le riprese sono state compiute mostrando le immagini dall’interno di chi era sui luoghi, e negli ospedali, nella case, nelle strade, e negli appartamenti degli enormi complessi residenziali, lasciandone allo spettatore l’interpretazione di ciò a cui stava assistendo. Senza proprio la necessità di altre sottolineature spettacolarizzanti l’angoscia e il dramma, o urlandone il messaggio di propaganda. Si apprende meglio che con qualsiasi altro reportage tv o documentario, l’evidente controllo di ogni libertà individuale da parte dello Stato cinese, però lo spettatore non può evitare di chiedersi se un sistema così pragmatico e inquisitorio non sia l’unico capace di controllare e irreggimentare una popolazione di un miliardo e quattrocento milioni di abitanti.
Questo sistema di distruzione delle libertà dei cittadini è stato dopo poche settimane esportato in buona parte del resto del mondo, per prima come al solito l’Italia, sacrificando per la salute pubblica milioni di vite morte non di virus e degli effetti diretti della pandemia, ma di altre malattie non diagnosticate tempestivamente e curate, o soprattutto per lo sterminio economico e di posti di lavoro, che ne è stata diretta e veloce conseguenza. Meno male che abbiamo avuto anche tante nazioni come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, il Brasile, la Svezia, il Giappone, la Russia, la Thailandia, Taiwan, la Corea del Sud, l’Australia e diverse altre, che non sono state disposte a seguire questa strategia realizzata e compiuta del Dragone per far suicidare con complicità, le economie occidentali dei paesi concorrenti.