Respirare stanca, di Enrico Acciani
Respirare stanca è il debutto al lungometraggio di Enrico Acciani. Una prova formidabile di capacità di osservazione
Respirare stanca è il debutto al lungometraggio di Enrico Acciani. Una prova formidabile di capacità di osservazione, di concentrazione, come del resto testimoniano le stesse note di regista:
Respirare Stanca è nato per necessità. Bloccato in casa, ho sentito l’urgenza di raccontare un pezzo di storia del nostro paese. Ovviare alla mancanza di cast e troupe è stato motivo di ingegno e pretesto per innescare del dinamismo all’interno della staticità più totale.
Mai come in questo caso la forza di un film si è dovuta basare sulla scrittura e sul soggetto. Il cinema si fa sì con i mezzi, ma anche con la giusta attitudine razionale e lo spirito di interiorizzazione dell’essenza filmica. Non c’è più nulla di vero del reale, quindi era fondamentale girare praticamente durante la quarantena. Certe immagini le ha regalate la vita, certi respiri la situazione generale che stavamo vivendo.
Tutti gli attori hanno recitato in live, cioè in videochiamata, non tramite registrazione. Questo ha preservato, anche paradossalmente, la vera essenza del set.
La musica, poi, è l’anima del film. La solitudine del personaggio del protagonista è invece la verità. E la verità è l’unica cosa che conta in questo film.
(Enrico Acciani)
Prima di tutto lo stato di necessità in cui si è avviata quest’opera… Che vuol dire anche con quale specifico sentimento di spaesamento, terrore, stupore… Come se improvvisamente si dovesse vivere in un altro “film”… “distopico” nel quale non si sa bene come muoversi… come continuare a sopravvivere.
Di necessità virtù, perché in questa condizione sarà stato durissimo far procedere un lavoro che si basava innanzi tutto sulla registrazione del “presente”. E quello che Acciani ha realizzato è un formidabile resoconto umano di alcuni mesi vissuti in uno stato psicologico completamente trasformato e che in fondo si subisce senza neanche potere opporre una controffensiva… Questa semmai arriverà dopo, molto dopo, in alcuni casi.
Il protagonista è così un uomo comune trascinato nell’abisso della preoccupazione di una perniciosa epidemia… per questo è soprannominato “precisini”, una modalità di reazione, quella di prudenza assoluta che si contrappone già all’inizio alla sostanziale incredulità o al rifiuto, inneggiando alla vita al di là di tutto.
Ma queste reazioni a un evento “esterno” hanno spinto l’umanità a una rielaborazione del proprio vissuto, dell’insieme di relazioni, come se fosse stato disposto in automatico un prima e dopo dall’evento covid…
Si potrebbe continuare per ore ad analizzare tutti gli aspetti contingenti, perfettamente registrati nel film, come il telelavoro, il fatto di rimanere separati da parenti ed amici, il rimanere chiuso, segregati, all’interno di un appartamento in alcuni casi per mesi. Tutto questo fa parte anche delle scelte personali, della capacità di adattamento, della forza psicologica nell’affrontare una situazione completamente nuova. E non a caso nel film i personaggi sono tutti coinvolti nel vivere non soltanto l’evento dell’epidemia, ma quello delle loro vite che subiscono simultaneamente una trasformazione.
Di questa trasformazione non rimane solo una traccia… E ciò viene fuori quando Enrico afferma che l’Evento ci ha cambiati… Ma non sappiamo neanche noi fino a che punto, fino al punto infine di uscire con guanti e mascherina anche dopo un anno quando la situazione è “migliorata”… ma solo soggettivamente, e questo testimonia quanto l’evento sia stato vissuto da ogni individuo in maniera diversa.
Respirare stanca già nel titolo fa riferimento al semplice respiro che può risultare pesante anche quando siamo in una zona di confort, ma in una situazione eccezionale il respiro sembra invece attivarsi verso nuove direzioni…
Grazie alla realizzazione delle musiche con Stefano De Vivo, Acciani è riuscito a creare un paesaggio visivo sonoro che tiene incollato lo spettatore per la bellezza di oltre 90 minuti. Ciò dà conferma anche delle sue buone scelte di montaggio che permettono di entrare in profonda confidenza con i personaggi, rivivendo lo spazio tempo del racconto con quel dinamismo che sorprende in un film tutto girato praticamente in una stanza e con un protagonista che riesce a sostenere la scena ininterrottamente.
Per quanto riguarda gli unici esterni, sono quelli che vediamo dal balcone, è quindi sempre un riflesso della percezione soggettiva del protagonista, che intravede passanti nelle strade deserte o in fila, ambulanze, macchine della Polizia, mezzi di raccolta di rifiuti, e poi soprattutto i suoni, compresa una sirena di allarme che diventa un tormento…
Ma Acciani non ha mai spinto sulla drammaticità, è rimasto nel confine della semplice e schietta cronaca che è molto più efficace e nemmeno quando arriva la notizia di un famigliare colpito, o per la telefonata del licenziato che deve mantenere tre figli, si cerca quel pathos che sarebbe stato un po’ dissonante rispetto alla semplice registrazione del reale. Cosicché anche gli amori che finiscono diventano materia del racconto, ma senza mai sovrapporsi alla cronaca complessiva del racconto cinematografico che riesce a comprendere davvero tutto con rara efficacia.