Digital Prison

Siamo prigionieri della Matrix? Il dialogo surreale tra due piani dell’Essere secondo Zachary Denman

Zachary Denman è un cineasta dei nostri tempi nel senso più autentico del termine. Tra i suoi numerosissimi lavori, è quasi impossibile stargli dietro, comunica dal suo sito che sta preparando perfino un lungometraggio “convenzionale”… Ma ci basta già l’ipertrofia visiva del suo canale Youtube, dal quale selezioneremo per offrirveli altri lavori interessanti, occasione per parlarne un po’ nelle pagine di Makemovies.

Nella serie Dystopian Sci-Fi Full Film Series 4 troviamo questo Digital Prison (Prigione Digitale).

Oltre alla ricchezza visiva e allo stile che vaga tra clip musicale e cortometraggio di finzione, il cinema di Denman è caratterizzato da una profonda immersione nel flusso di immagini/suoni/musiche, per cui è sempre molto importante lasciarsi andare allo scorrimento delle immagini, una sorta di invasione dei sensi, che non possiamo facilmente elaborare solo sul piano razionale.

Succede la stessa cosa anche in questo breve dialogo tra una comune mortale e l’angelo caduto che manovra la matrix, ovvero la prigione digitale in cui tutto è caratterizzato da serie di numeri corrispondenti alla totalità delle nostre vite.

La donna è allo stesso tempo un burattino, ma ha un margine per dialogare con chi la imprigiona. E il maledetto aguzzino se la ride, perché questo gioco è apparentemente più divertente per chi lo conduce e non per chi lo subisce…

C’è anche un però, dal momento che Denman accompagna la visione da una frase come “We walked blindly into a Digital Prison… even those who implemented it, didn’t understand where it led… “, vale a dire che se è vero che abbiamo camminato ciechi nella nostra prigione digitale, d’altra parte anche chi ha in mano il gioco dalla parte del controllore non sa come tutto è iniziato.

Insomma, la voce dell’aguzzino ha anche qualcosa di tragico, nel determinismo misterioso di un destino che vuole che le cose vadano avanti in questo modo…

Nel frattempo vediamo i segni del controllo, come il riconoscimento facciale e quello dell’iride, le impronte prelevate dai nostri corpi che nella scenografia creata da Denman sembrano galleggiare in un luogo senza spazio né tempo, ma soprattutto senza punti di riferimento tranne le coreografie digitali che sembrano quelle di un palcoscenico di una installazione multimediale, mentre vediamo tutte le varie icone del controllo, le figure geometriche come i triangoli massonici o le forme del DNA alle spalle ed intorno alla protagonista.

Un teatrino dell’assurdo, ma anche un’elaborazione che negli ultimi anni della storia umana si va configurando verso forme estetiche già note e ripetute, come le famose scritte a scorrimento verde proprie del film Matrix…

Buona visione!

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