Fellini 8 ½ e altri sogni. Gianfranco Angelucci racconta Fellini
La rassegna “Fellini 8 ½ e altri sogni” si è trasformata in un viaggio intimo nel mondo fantastico di Federico Fellini, raccontato nell’intervista a Gianfranco Angelucci, suo stretto collaboratore, che lo ha conosciuto più come uomo che come cineasta
Angelita Privitera su FareFilm del 21 maggio 2014
In occasione della rassegna “Fellini 8 ½ e altri sogni”, tenutasi sabato 12 Aprile 2014 presso il Cinema Caffè Lanteri di Pisa e curata dal Pisa Film Forum, è stato presentato il libro “Segreti e bugie di Federico Fellini”, alla presenza dell’autore Prof. Gianfranco Angelucci e del Prof. Giordano Giannini. L’evento ha regalato un viaggio intimo tra i colori vividi di Federico Fellini, un artista che ha saputo e continua a far sognare dentro e fuori i suoi film. Segreti e bugie raccontate da chi lo ha conosciuto più come amico che come regista e che ha cercato di catturare ed imprimere, nero su bianco, l’immaginario fantastico e illusorio di chi, nero su bianco, disegnava solo vignette satiriche. Il mondo variopinto di Fellini è un cocktail di amicizie, manie, superstizioni, finta realtà e sogni tangibili, tutti magistralmente miscelati. Un set di vetro che tutti possono ammirare ma a cui solo pochi possono accedere. L’incontro è stato aperto da Giordano Giannini che ha spiazzato il pubblico in sala con una confessione: “Inizialmente ero diffidente sul presentare questo libro. Perché scrivere un libro su Fellini?” si era infatti chiesto, “Lui non ha mai voluto dire qualcosa se non lasciare allo spettatore stesso la completa libertà di interpretazione”. Ma il libro, in realtà, si concentra poco sul cineasta Fellini molto sull’uomo che era, con la sua grandezza e la sua piccolezza. Un taglio profondo, intimo che scava dentro le sue passioni. Da quelle rivolte alla letteratura a quelle per gli effetti speciali rigorosamente in carta e cartone, ereditati dalle tradizioni teatrali. E racconta di ricordi rubati, di confidenze rivelate a bassa voce, di aneddoti sconosciuti che vanno dalla sua amata moglie Giulietta fino al suo alter-ego Marcello Mastroianni. Racconta dell’intervista provocatoria e pungente di una impetuosa Oriana Fallaci che non si piega di fronte al suo carisma, anche se poi alla fine ne rimane sedotta, e di un indispettito Federico che la chiama irrispettosa, maleducata perché sente di non averla del tutto attratta a sé. Parla della semplicità di Federico, caratteristica peculiare di chi possiede genialità, della sua spensieratezza, perché Federico amava giocare. Per Giannini, adesso, l’unica scusa che giustificherebbe il fatto di non aver letto il libro potrebbe essere solo quella di essere impegnati a vedere un film di Fellini. In uno sfondo di applausi e consensi prende il via l’intervista a Gianfranco Angelucci che, compiaciuto, ringrazia sentitamente il prof. Giannini per la sua attenta recensione e mette in evidenzia il fatto che il suo non è un libro di un critico cinematografico, né un saggio. “È semplicemente un racconto di una persona che a 20 anni ha avuto la fortuna di perdersi in un’isola del tesoro. Il mondo di Fellini. Una galassia, un universo infinito”. Subito dopo essersi laureato, con una tesi dedicata proprio al lavoro di Fellini, iniziò a collaborare con lui. Collaborazione che durò più di vent’anni, fino alla sua scomparsa. Poco dopo il loro incontro Fellini gli chiese di lavorare con lui per il film Roma. Non sapeva nemmeno cosa fosse il cinema, e Federico gli permise di entrare nel suo paese delle meraviglie, proprio come Alice. La loro collaborazione sfociò nella sceneggiatura di Intervista (1987), Premio Speciale della Giuria a Cannes e Gran Premio al Festival di Mosca. “Federico era un vero e proprio mito, e la mitologia di questo personaggio lo accompagna da sempre. Persino la sua città di nascita, ancora oggi, è oggetto di diatriba tra gli abitanti di Gambettola e di Rimini che rivendicano la paternità delle sue origini”.
Ma cos’è il realismo? Si può parlare di realismo nel cinema di Fellini?
“Quando le cose si aggrovigliano può essere utile aprire la porta della razionalità”, sosteneva Federico. Quasi come ad ammettere che tutto il suo estro fluiva da un’irrazionalità voluta. Concetto che va ad allacciarsi perfettamente alla sua concezione di fare cinema. “Se il cinema vuole raccontare la realtà dalla realtà devi distaccarti”. Come dargli torto. Per rappresentare al meglio il concetto di realismo nel cinema, Angelucci si riallaccia ad un aneddoto e racconta di quando Federico rivolgendosi a Rossellini esclamò con stupore “Ma come, fai un film su Gesù? Un altro!”,e lui prontamente ribatté: “Però nel mio racconterò come sono andate le cose”, ed entrambi scoppiarono a ridere. Sapevano che era una menzogna. Ognuno racconta ciò che vuole raccontare. Secondo Angelucci: “Tutto il cinema è un pezzo di vetro creato dal grande illusionista quale è il regista. È tutto un inganno. L’arte stessa è inganno. L’uomo è l’unico animale simbolico e l’artista è il re dell’imbroglio. La verità del cinema è la finzione, come l’arte d’altronde. L’emozione che proviamo guardando un film è verissima nonostante ci troviamo di fronte alla finzione, a dei simboli. Questo avviene se il regista è in grado di creare questo meccanismo. Quindi non esiste nessun realismo nel cinema”.
Toni perentori quelli di Angelucci che continua ad affascinare e incantare la platea con riflessioni che aprono prospettive nuove. Si potrebbe dedurre che, però, di questa finzione non ne facciano parte i documentari. E invece no. “Anche il documentaristico”, continua a sostenere Angelucci, “è un imbroglio divino. Il documentarista costringe lo spettatore a guardare solo quella porzione di vita. Il narratore diventa il protagonista del film. Porta il suo vissuto lì, ma porta anche la capacità di ammettere che se non stessi guardando quel film guarderesti il vuoto, il nulla. <Il mondo che vedo io ve lo porto>, è questo ciò che fa il regista.”
Perché i film di Fellini sono amati e ammirati ancora oggi?
Perché lui parla di noi, della nostra anima. I suoi film non sono invecchiati di un anno. Faccio un esempio. In 8 1/2 l’indovino chiede a Marcello Mastroianni di pensare a qualsiasi cosa garantendogli che l’avrebbe indovinata. Il mago però non riesce a decifrare ciò che sta pensando così Marcello con tono scherzoso gli risponde: “Allora scrivilo”. Il mago scrive una parola strana, “Asa Nisi MAsa”, che sarebbe ANIMA utilizzando il buffo gioco infantile. Da qui si comprende subito quanto Marcello, e quindi Federico, pensando di inserire nel film questo semplice gioco che ognuno di noi ha fatto da piccolo, volesse arrivare fin dentro il bambino che c’è in noi. È questo che racconta Federico, non vi racconta giochetti ma va dentro ciascuno di noi.
O ancora un altro aneddoto, sempre dal film 8 ½, riguarda la scena in cui Guido (interpretato da Marcello Mastroianni) fa il provino all’attrice che avrebbe fatto l’amante e si nota che lei è vestita allo stesso modo della vera amante di Guido. Collegamento che va a mischiare realtà e finzione. Per parlare di questo tipo di universo bisogna armarsi della voglia di racconto. Fellini ha creato 23 film tutti rimasti nella storia del cinema. E non si tratta solo di appagamento estetico, ma di quello egoistico. Senti che quel film l’ha fatto per te. Lo senti tuo. Riesce a metterti in contatto col tuo sconosciuto.
Il sogno cos’è?
Chi sa spiegarlo. Il rapporto con l’onirico, con lo sconosciuto cos’è? Come lo spieghi al cuore? Tutto ciò che viviamo di giorno lo proiettiamo di notte nei nostri sogni. È questo che racconta Fellini.
Perché parla di bugie di Fellini?
Federico era romanzesco e in quanto tale amava inventarsi storie. A lui piaceva che le cose alla fine fossero un romanzo.
E che tipo di legame aveva con la psicoanalisi?
Federico non aveva avuto un buon rapporto con la psicoanalisi freudiana così provò quella junghiana. Frequentò per molto tempo Ernst Bernhard, psicoanalista tedesco, il quale lavorò per trent’anni a Roma applicando la psicoterapia junghiana, unita all’esoterismo. In Bernhard trovò un uomo paziente che gli dava pace. Riallacciandomi alla sua passione nel mentire, disse una bugia anche su come avvenne il suo contatto con Bernhard, proprio per il gusto di romanzare.
Era un tipo superstizioso?
Federico aveva un rapporto particolare con l’irrazionale, l’energia, i sogni, la superstizione. Alla domanda “In cosa credi?” rispondeva “Credo a tutto perché non credo sia meglio non credere a niente. In questo modo è più facile che qualcosa accada”. Probabilmente è così. Molti fatti portano a credere che tra Federico e la superstizione esistesse davvero un legame particolare. Uno degli episodi più emblematici è legato al Mastorna. Federico aveva sempre amato questa sceneggiatura ma sosteneva che il giorno in cui ne avrebbe realizzato il film sarebbe stato il suo ultimo film. Motivo per il quale non voleva girarlo. Al posto del film, insieme a Vincenzo Mollica, fecero il fumetto a puntate. Capitò che in una puntata, non l’ultima, si accorse che era stata inserita la parola “Fine”. Fu un bruttissimo presagio per lui. Federico non ha mai voluto mettere “Fine” nei suoi film perché per lui il film era se stesso. In quell’anno Federico disse alla regista Margarethe Von Trotta, cara amica, molto presente nella sua vita, “Ho paura di aver fatto uno sbaglio. È stato pubblicato il Mastorna con la parola “Fine” inserita per sbaglio”. Fato, destino, coincidenza, chiamatela pure come volete, Federico se ne andò l’anno successivo senza aver realizzato il film.
Chi era per lui Giulietta?
Era la sua donna, la sua musa ispiratrice. Dedicò a lei il suo Oscar alla carriera, lasciandola senza parole e piena di commozione. Il finale della loro storia ha dell’incredibile. Ricordo che il 30 ottobre 1993 Giulietta lo andò a trovare in ospedale, per recitare il rosario tutto il giorno. Festeggiavano i loro 50 anni di matrimonio, e il giorno dopo Federico morì. Un giornale intitolò la prima pagina “Le nozze d’oro di Federico e Giulietta”.
Cos’era Roma?
Federico viveva, respirava Roma. Durante gli anni ’70 a Roma lui era un imperatore, poteva letteralmente fare tutto quello che voleva. Una volta prendemmo una strada vietata e la cosa più assurda fu vedere i vigili che, dopo averlo fermato, lo riconobbero e con tranquillità gli dissero: “Ah è lei, prego maestro vada pure”. Era un mito.
Qual era la realtà e quale il sogno di Fellini?
La realtà di Fellini era ed è la visionarietà. Noi possiamo avere come verità la verità degli artisti. La vera religione è l’arte.Non si litiga per l’arte, ci incontriamo tutti come fratelli.Era proprio questo il desiderio di Fellini: portare il cinema nell’arte. E per l’umanità diventa il sogno collettivo.
Chi sono gli artisti?
Gli artisti non sono dei santi? Non fanno anche loro delle opere che ti cambiano la vita? Questa nazione ne è piena. Ha creato dal nulla tutta questa ricchezza.
Angelucci con i suoi racconti quasi surreali ha incantato la sala facendo riassaporare l’essenza dell’universo felliniano. L’incontro è proseguito con la proiezione del film Che strano chiamarsi Federico di Ettore Scola, emozionante omaggio al regista romagnolo e Angelucci ha concluso con una breve recensione. “Ettore Scola è un vecchio cineasta di 82 anni, che a 19 anni pensò di fare il fumettista. Così al Marc’Aurelio, giornale storico italiano satirico, conobbe Federico. Ma cosa racconta il film? Semplicemente la poetica di Fellini. L’inizio è bellissimo: Fellini di spalle, davanti a una ripresa frontale del mare. Sembra seduto sul bagnasciuga ma è semplicemente il pavimento del teatro. Scola vuole mostrare la magia della sua finzione. Tema predominante in tutto il film. Invece di fare critica fa la poetica di Fellini applicandola al suo racconto.