Il colore della libertà di Barry Alexander Brown, con una prospettiva alla Spike Lee
Il colore della libertà è il film sul movimento americano per i diritti civili degli anni ’60 ispirato ad una storia vera, diretto dal candidato all’Oscar® Barry Alexander Brown con la produzione esecutiva del Premio Oscar® Spike Lee
Già il titolo italiano tende ad essere altisonante, “libertà” e “colore” in un gioco di parole che fa chiaro riferimento alle distinzioni di razza che hanno da sempre caratterizzato forme di discriminazione tra gli uomini.
Il film diretto ed anche scritto da Barry Alexander Brown (nome indicativo… ) fa già con il titolo originale (Son of the South, “Figlio del Sud”) più adeguato all’argomento, più riferimento ad un contesto preciso dei nascenti stati uniti d’America, che vedevano una netta separazione storica incentrata sul fatto che negli stati del sud le manovalanze provenienti dall’Africa avevano formato un tessuto fitto di interessi e sfruttamento che, non dimentichiamolo, era il nocciolo della questione: preservare i privilegi di quei proprietari terrieri che erano però in molti casi dei padroni brutali…
La Storia spesso non bisogna guardarla lasciando scivolare il senso soltanto in una strada segnata… E se i movimenti antirazziali fossero pilotati dal nuovo capitalismo che voleva proprio erodere e distruggere il sistema dei proprietari terrieri che con i suoi metodi buoni o cattivi aveva regnato, come del resto in altre parti del mondo, vedi per esempio il caso italiano che riguardava il sud Italia?
Brown segue con una certa sufficienza estetica le vicende del giovane attivista “bianco” Bob Zellner, che si era distaccato proprio dalle tradizioni anche famigliari: non è un caso che il nonno interpretato da Brian Dennehy faccia parte del Ku Klux Klan e che la famiglia Zellner sia una di quelle prestigiose che ottiene facilmente conquiste sociali proprio in virtù di un’innata appartenenza all’establishment. Quindi, il racconto filmico, tratto peraltro dal romanzo The Wrong Side of Murder Creek: A White Southerner in the Freedom Movement di Bob Zellner e Constance Curry, non avrebbe che da seguire quello che la pagina letteraria vuole offrire più come testimonianza… visto che si tratta dello scritto dello stesso protagonista delle attività antirazziali a favore dei neri.
Il film naviga tra una serie di teatrini stereotipati, tipo scontri imprevisti coi neri che diffidano del bianco e vogliono assicurarsi che non sia un infiltrato magari dell’FBI o di altri servizi segreti… Poi tra love story abbozzate tanto per aggiungere qualche elemento in più alla sceneggiatura, scenette di bianchi razzisti e pronti a usare violenza fino ad esecuzioni sommarie dello stesso protagonista…
Il montaggio dello stesso regista sembra premurarsi di isolare con salti ellittici i momenti più significativi, cercando forse di ovviare alla banalità di una narrazione troppo lineare, cosa che ormai fa il 90 per cento delle opere contemporanee. Ma il risultato è che un po’ ci si perde nelle varie scene che poi bisogna ricollegare anche dal punto di vista temporale e molti dettagli sono dati per scontato o semplicemente abbozzati come la relazione tra universitari, tra quelli di umili origini e quelli di elite… che alla fine non rischiano niente…
Ma la scena madre arriva ad un certo punto quando il giovne Zellner si ferma su una strada a salvare una tartaruga: qui risiede il seme più importante della evoluzione spirituale di un popolo, quando la maggioranza degli individui diventa attento al rispetto di qualsiasi forma di vita… Infatti, a Zellner torna un episodio della fanciullezza quando fu costretto a picchiare un nero… Un elemento significativo sull’acquisizione di consapevolezza che può essere fatto solo dopo errori poi riconosciuti.
Il colore della libertà rimane quindi uno di quei prodotti soltanto potabili che trattano argomenti “importanti” e sembra che siano più questi ultimi ad attirare finanziatori come Spike Lee, tra i numerosi produttori esecutivi, piuttosto che il livello di messa in scena che rimane comunque davvero troppo basso anche per meritarsi una sufficienza… Che sia candidato all’Oscar, beh questa è una notizia che francamente mi lascia indifferente!