The Media Matrix, di James Corbett: una storia inedita dei media?
James Corbett ha realizzato una storia abbastanza inedita dei media, scevra di proclami ed esaltazioni. Da Gutenberg al metaverso
Cosa insegnano a scuola a proposito di grandi invenzioni? Che esiste una sola faccia della medaglia e che, in questo caso, il medium inventato è un bene per la popolazione mondiale, senza però guardare ai dettagli, agli aspetti più importanti delle varie rivoluzioni, e senza soprattutto chiedersi cosa comporterà per l’umanità il passaggio da un medium all’altro.
Innanzitutto, la parola “medium” già richiama dimensioni virtuali (non a caso si utilizza per evocare gli spiriti) che diventano più reali. La radio, per intenderci, alla sua prima apparizione in certi popoli dovette superare la diffidenza che la vedeva al pari della stregoneria…
D’altra parte l’invenzione di Gutenberg si configura come una cospirazione da reprimere. Nel Medioevo il potere feudale poteva controllare ogni tipo di messaggio. La comunicazione era soltanto interpersonale, mentre i messaggi provenienti dall’autorità erano fatti direttamente dagli emissari del potere. Nessun altro tipo di messaggio poteva circolare tanto facilmente, anche perché sarebbe stato bollato come stregoneria, eresia e ogni tipo di altra insubordinazione all’autorità di allora.
Ma quando cominciarono a girare le pagine stampate, ovvero i libri, diventò difficile censurare il pensiero “sovversivo”. Chiunque o quasi poteva arrivare a stampare quanto meno dei volantini e farli circolare. La rivoluzione del libro fu un grande passo per l’umanità, poiché da allora tutti potevano essere informati attraverso la pagina scritta su qualunque argomento.
La diffusione dei libri fece crollare il potere feudale, occorreva un altro potere che controllasse proprio la stampa, per questo in molti periodi le tipografie clandestine fiorirono…
Dopo la prima parte, dedicata a Gutenberg, Corbett affronta i media più moderni passando dal telegrafo, fino alla radio e alla televisione.
Anche se Corbett fa cenno a Orson Welles con la sua celebre trasmissione radiofonica, che prospettava una invasione aliena, la cui leggenda vuole che il pubblico fosse ingannato al punto da crederla reale, non si occupa di cinema, un vero peccato perché la propaganda sceglie proprio i media storici per veicolare i contenuti che vuole far assimilare alle masse.
Il cinema di propaganda, quello etichettato tale da Riefenstahl a quello dei maestri russi, dimostra che il grande schermo fu usato alla grande da tutte le nazioni. Sarebbe però del tutto errato considerare di propaganda solo il cinema di particolari regimi come quelli fascista italiano e nazista tedesco, così come quello russo, poiché proprio Hollywood incarna il modello principale di propaganda; non solo attraverso i film direttamente prodotti per sostenere lo sforzo bellico della seconda guerra mondiale.
Già agli inizi il cinema americano aveva autori come Griffith che fondarono, tanto per fare solo un esempio, il genere western che fu in grado di coprire lo sterminio del popolo indiano, lasciando credere che la conquista del West fosse cosa buona e giusta. Ma il cinema americano fu corrotto da ogni punto di vista ed anche il suo rapporto stretto con il Pentagono arrivò perfino a intromettersi nella serie famosa sul cane Lassie…
Corbett riflette moltissimo sugli effetti dei media ed è ciò che inevitabilmente ci porta all’ultimo capitolo, quello del metaverso, di internet che guarda caso non deriva da una rivoluzione stile Gutenberg, ma propri dal Pentagono stesso, sì proprio gli stessi militari che avevano controllato gran parte del cinema statunitense…
Per capire la relazione tra simulazione e realtà è fondamentale richiamare l’intervento di Jean Baudrillard, davvero seminale per capire come la realtà possa infine essere confusa con la simulazione…
Si chiede Corbett: siamo noi ad influenzare la produzione tv o è la produzione di immagini ad influenzare il nostro comportamento? Tanto più che il moltiplicarsi delle serie dedicate ad ogni aspetto della vita, finisce per condizionare fortemente con modelli, stili, ma anche pensieri, preoccupazioni, ansie. Ma soprattutto Corbett cita un famoso esperimento che dimostra che dopo 30 secondi le onde più frequenti registrate da un elettroencefalogramma a uno spettatore sono quelle alfa, vale a dire quelle che corrispondono ad uno stato di minore resistenza e di suggestione…
Tutto così sembra muoversi non solo a livello di manipolazione, contiguità col medium, anzi intimità, ma arriva ad un livello ancora più spinto di iperrealismo, o meglio, realtà aumentata, nella quale muoversi. Laddove sembra che l’assenza di una realtà aumentata sembrerà sempre più un fatto inaccettabile…
Lo dimostra il brano citazione da Hyper-Reality di Keiichi Matsuda, cortometraggio che in pochi minuti dimostra quanto e dove colpisca la realtà aumentata. Da un lato abbiamo l’assoluto controllo dell’individuo attraverso account di ogni tipo, dall’altro una semplice camminata all’interno di un supermercato dimostra quale sia la differenza tra realtà “normale” e realtà “aumentata”. In quest’ultima tutto è animato da una serie di opzioni, possibilità interattive all’istante.
The Media Matrix non lesina un riferimento preoccupante al controllo, peraltro già programmato ai tempi di Gutenberg. Le élite di potere hanno seguito questa evoluzione recitando la parte dei controllori. I semplici utenti che fine faranno? Potranno davvero liberarsi con un pulsante di spegnimento?
Un grazie di cuore al team del canale Telegram “Buffonate di Stato”, che ha aggiunto le didascalie in italiano.
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