Lubo, di Giorgio Diritti: l’eugenetica ha radici profonde

0

Lubo è anche la storia della famigerata associazione Kinder der Landstrasse, ovvero il traffico di bambini in molti paesi della cosiddetta Europa avanzata… Svizzera, Austria, Germania…

Era il 2015 quando una comunicazione per la stampa annunciava che il nuovo film di Giorgio Diritti, Lubo, otteneva il finanziamento del fondo di sostegno alle produzioni, in particolare la partnership tra Italia e Germania.

Lubo è infatti la storia di uno Jenish, recitava così allora la breve sinossi: Uno Jenish (Lubo) perde la sua famiglia per mano della Kinder der Landstrasse, un’organizzazione retta su principi dell’eugenetica dilagante nell’Europa degli anni trenta. La sua vendetta avrà risvolti inaspettati, obbligandoci a ripensare i labili confini tra bene e male.

Giorgio Diritti deve aver faticato parecchio per portare avanti questo progetto che aveva già avuto il finanziamento principale ben otto anni fa.

Probabilmente è stato più la scelta di realizzare un film molto denso con una strategia narrativa che abbracciasse molti anni della vita dei protagonisti senza svilire con banali ellissi e soprattutto con didascalie che avvisano lo spettatore del passaggio del tempo. Eppure queste didascalie sono state assolutamente necessarie per selezionare anche le parti più importanti della storia.

Lubo Moser fa parte di una minoranza etnica malvista in Svizzera, il cui governo ad un certo punto degli anni trenta si mette in testa che l’educazione per i giovani jenish corrisponda a sottrarli alle loro famiglie, l’unica possibilità per “salvarli” da un destino di zingari vagabondi… Ma il pregiudizio è ancora più grave quando di fronte a una famiglia che invece vive di arte come quella di Moser, non ci si ferma neppure davanti a questo. Poi ci si mette la seconda guerra mondiale che coinvolge solo gli uomini sottraendoli di fatto alle famiglie con la chiamata dell’esercito, in questo caso quello svizzero allertato dalle mosse di Hitler…

La parte più interessante del film è quella che lascia sprofondare lo spettatore nel destino di queste vittime che alla fine possono anche prendere sentieri non proprio spensierati, quando un omicidio si prospetta come possibilità di fuga…

Ma Lubo è alla fine solo un artista che ha provato a sostenere il ruolo del personaggio al quale ha rubato l’identità, ma lontano dalle sue corde interiori, tanto che la questione vendetta non è proprio al centro della storia. Lubo si impegnerà allo spasimo per ritrovare i figli…

La storia liberamente ispirata a “Il seminatore” di Mario Cavatore, è derivata da fatti realmente accaduti, e certamente quando vediamo i vari passaggi dedicati alla burocrazia con gli archivi dei bambini, vien davvero da piangere di fronte a una malvagità così brutale, quando organizza in maniera meticolosa il furto di esseri umani, alcuni dei quali, non dimentichiamolo, finiranno nelle grinfie dei pedofili.

Chissà che proprio questo aspetto abbia frenato la produzione del film, parlare di organizzazioni come la Kinder der Kinderstrasse invece dovrebbe essere fatto con maggiore frequenza dato che quella vergogna continuò fino agli anni settanta, ma al giorno d’oggi il fenomeno non si è certo fermato…

E d’altra parte anche il riferimento all’inseminazione seriale da parte di Lubo, presente già nel titolo del romanzo, è solo accennata con un paio di casi.

Lubo è comunque un affresco potente di una vita da vittima, come dice lo stesso Lubo, interpretato magnificamente da Franz Rogowski, che non può che adattarsi anche al crimine e alla violenza per cercare infine di vedere un mondo futuro migliore, improntato all’amore, l’unica forma di educazione.

Lascia un commento