Totem Il mio sole, di Lila Avilés. La magia soprannaturale che affiora dalla ordinaria quotidianità

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Totem Il mio sole, di Lila Avilés. La magia  soprannaturale che affiora dalla ordinaria quotidianità

Totem

Con Totem Lila Avilés riesce a sondare i misteri di una ordinaria quotidianità, tra spiritualità e materialità dolorosa

La definizione di “totem” su Wikipedia:
“Un totem – in antropologia – è un’entità naturale o soprannaturale che ha un significato simbolico e al quale ci si sente legati per tutta la vita. Il termine deriva dalla parola ototeman, usata dal popolo dei nativi americani Ojibway”…

Il film è girato con una macchina da presa che ritaglia porzioni piccolissime degli ambienti, non solo volti, ma soprattutto immagini parziali, laddove in qualche modo si fa perfino fatica a seguire, tanto la regia indugia su una inquadratura, non usando in pratica controcampo.

Lo spazio delineato all’interno di questo appartamento messicano appare non solo angusto, ma anche claustrofobico ed ecco che anche i numerosi animali finiscono per essere chiusi dentro questi spazi. Si va dall’evidente pesciolino rosso, sacrificato dentro la brutale busta al gattino di pochi mesi che cerca di liberarsi dalla presa a un cane legato nel box e un pappagallo che ha perso la voglia di volare, e perfino alle chiocciole prelevate dalle piante e collocate sulle tele… e la mantide religiosa che sembra proteggersi da un dito che ha voglia di prenderla…

Poi vediamo anche una di quelle maghe che vengono a togliere i vari malocchi, gli spiriti infestanti e non si sa quali cattive vibrazioni. Poi se ne va dicendo che ha faticato tanto e la sua paga deve essere almeno di 3000 pesos, anche se poi si accontenta di meno…

In questa (con)fusione artistica, la festa fa parte del rito “sciamanico” che vorrebbe scacciare l’infausto destino della malattia letale che ha colpito il papà della protagonista Sol (un’ottima Naíma Sentíes), bambina di sette anni che riesce a esprimere proprio tutto non solo con le semplici domande, di cui una perfino al cellulare “Quando finisce il mondo?” (di cui peraltro è abbastanza nota la risposta), ma anche quelle alla mamma e alle zie. Il suo mondo sembra ancora più minuscolo di quella casa, come se tutto implodesse.

E la voglia di celebrare una festa sembra un lavoro troppo grande per tutti, cucinare, organizzare i numeri musicali, mentre il nonno, che parla attraverso il microfono, rende ancora più grottesco il tutto.

Il mondo di Avilés è tutto sprofondato nella materialità di questi personaggi, vivi o malati o comunque depressi, affaticati per cercare di risolvere operazioni quotidiane come la pulizia di un pavimento che rimbalza tra i cuginetti, o la torta che brucia nel forno, come poi del resto la lanterna lanciata in cielo.

Tutto insomma è precario, indicato anche come pericoloso, come i quadri tristi che poi sono collocati in un camion per un trasloco, l’unica via di fuga è nei pochi segnali soprannaturali che vengono solo dallo sguardo di Sol, dalla bellezza semplice di uno spettacolo famigliare, ma che riesce a creare quegli istanti di magia soprannaturale che riscattano tutti quanti dalla bruta materialità dell’esistenza.

La sempiterna ricerca umana del totem…

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