Drive-Away Dolls, di Ethan Coen: le lesbiche si prendono la rivincita sui falli perduti

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Drive-Away Dolls

L’ultimo film dei Coen con alla regia il solo Ethan guarda al mondo lesbico con tutta la verve consueta della scrittura dei noti fratelli e un occhio alla psichedelia degli anni sessanta/settanta

C’è una scena fondamentale in Drive-Away Dolls ed è quella della squadra volley femminile che conduce una sorta di allenamento in interni con scambio di coppie e tante carezze lesbiche…

Poi lo stesso gruppo si trova davanti ai due scagnozzi mezzi detective mezzi nulla come sono l’ottanta/novanta per cento dei personaggi dei Coen, però sono due maschi davvero spaesati di fronte a queste femmine che riescono a metterli nel sacco, inviandoli in una specie di strada senza uscita in un localaccio frequentato da soli neri che chissà da dove spunta…

L’atmosfera, come si è capito, è proprio quella del cinema dei Coen: ritmi pazzeschi, brusche accelerazioni, cambi di quadro con effetti a tendine originali e tanti, tanti inserti che lasciano sprofondare lo spettatore in un vero e proprio bagno lisergico…

Del resto tra le varie scene, gustosissima quella che prende spunto da un altro sogno memoria della protagonista quando ricorda di aver perfino fatto un buco nello steccato che divide la casa da quella della vicina che ama prendere il sole e fare il bagno nella sua piscina completamente nuda. Un altro momento di estasi erotica!

Drive-Away Dolls è più immerso in questa enfasi amorosa omosessuale, piuttosto che nella tradizionale storia road movie che in realtà di strada ne vede poco.

L’altra metà del cielo, quella maschile è dunque messa malissimo… La prima scena interpretata da attori/personaggi meschini in cui c’è la massima violenza esplicita e le altre scene in cui sono presenti maschi finisce o in un pestaggio o nella sparatoria decisiva…

La testa decapitata conservata in ghiaccio fa tanto pensare a Peckinpah (Voglio la testa di Garcia) e chissà che Ethan Coen non pensasse proprio a questo bizzarro riferimento cinematografico.

Anche perché in fondo c’è un ritratto degli States di oggi con tutte le differenze tra i puritani stati del Sud e quelli diciamo più sfrontati che accettano i matrimoni tra gay (è anche una delle battute contenute nel film).

Ma soprattutto quella iconografia di locali, motel ed auto con portabagagli snodi narrativi che continua da molti anni a influire sull’immaginario cinematografico.

Margaret Qualley nei panni della sguaiata Jamie e Geraldine Viswanathan in quelli della più cerebrale Marian sono davvero perfette e centrate nella scrittura di Ethan Coen (con la moglie Tricia Cooke).

Insomma, ancora una opera divertissement al 100%, ma che spinge il discorso sull’omosessualità senza farne una roba da attivisti, i quali vengono pure presi in giro dalla protagonista. E soprattutto un occhio beffardo sul genere maschile e sulla società politica americana, che non a caso fa da sottofondo con la pesante nota finale sul senatore interpretato da Matt Damon, che in fondo rappresenta quella parte di società che vuole permettersi tutto, di controllare ogni cosa e così quei calchi di falli sfuggiti indicano direttamente una società del c…

Penso che sia chiaro, no?

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