I dannati di Roberto Minervini: la guerra maledetta dell’inciviltà umana

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I dannati

Roberto Minervini, con I dannati, realizza un inno anticiviltà, contemplando la grandezza della Natura attraverso l’occhio miserabile della guerra

Nella sezione Un certain regard al Festival di Cannes edizione 2024, sempre più aperta agli sguardi lontani, il film di Roberto Minervini, conosciuto come documentarista, rischia di essere l’opera più importante della stessa sezione.

Prima di tutto perché, attraverso la cosiddetta fiction, Minervini dirige un’opera che ha un respiro universale in quanto parla di uno dei più miseri fenomeni che caratterizzano la specie umana: la guerra.

Il fatto che sia la guerra di secessione americana poco importa, perché l’obiettivo è proprio quello di mettere a nudo il “fenomeno guerra” nella sua totale insensatezza ed incompatibilità con i fenomeni naturali. I primi titoli che possono servire quale utile riferimento sono Orizzonti di gloria di Stanley Kubrick e La sottile linea rossa di Terrence Malick.

La prima scena ritrae un gruppo di lupi intorno a una preda. Percepiamo chiaramente che questi animali seguono un istinto che li porta a comportamenti sempre coerenti con la specie. Vediamo compiersi una sorta di rituale intorno alla preda.

Ed invece l’uomo attraverso la strada della (in)civiltà arriva subito a una guerra che non trova alcun corrispondente nel mondo naturale. Già questa è una strana anomalia!

Per addentrarci in questo argomento certo occorrerebbero ore, ma il fatto di indicare la guerra come fenomeno insensato e di fronte al quale da parte di ogni essere umano deve scattare un rifiuto totale è certamente un bene. Guai a seguire i tortuosi sentieri manipolatori delle varie giustificazioni dei conflitti.

C’è un autore che, puntando ancora più in alto, ha riconosciuto la situazione umana come un luogo di predazione da parte degli dei. Sembra un po’ una teoria assurda, ma chi conosce Salvator Freixedo sa che l’autore porta tutte le opportune prove concrete.

Nel suo libro “Difendiamoci dagli dei” c’è un paragrafo dedicato proprio al fenomeno guerra dove afferma: “… un visitatore di un altro mondo evoluto che venisse nel nostro mondo e si interessasse di sapere quale è stata la storia degli uomini su questo pianeta rimarrebbe stupefatto di fronte a un evento così ripetuto, così assurdo, così doloroso e così pregiudizievole come sono le guerre.” E ricorda anche quello che disse a proposito Albert Einstein: “… la peggiore cosa partorita dallo spirito delle masse: l’esercito, che io tengo in odio. Che qualcuno sia capace di sfilare ben fiero al suono di una marcia è sufficiente affinché si meriti tutto il mio disprezzo, perché ha ricevuto un cervello per sbaglio: gli bastava il midollo spinale. Bisognerebbe far scomparire quanto prima questa macchia dalla civiltà. Come detesto i gesti dei suoi comandi, gli atti di violenza senza senso e quel maledetto patriottismo! Quanto ciniche e spregevoli mi sembrano le guerre! Mi lascerei fare a pezzi piuttosto che prender parte a una azione così vile!”.

Dunque la guerra è soprattutto insensatezza, luogo e sentimento non solo della paura, ma soprattutto della più grave miseria in cui si possa capitare.

I personaggi di Minervini sono perfetti, giovani e adulti, per lasciare risuonare lo sguardo nel vuoto, la piena percezione che tutta l’azione della guerra è una semplice follia, laddove l’unica cosa che conta è sopravvivere. Non ha più importanza il nemico che neanche si vede, giustamente, come nel romanzo seminale di Dino Buzzati, Il deserto dei tartari. Perché il nemico è un riflesso di noi stessi, come se questi soldati combattessero la stessa guerra contro se stessi, contro la loro vera Natura, che certo non li porterebbe a questa dimensione di angoscia.

Ma, come suggerisce Freixedo, non possiamo incolpare della guerra soltanto la civiltà come farebbe Enrico Manicardi, per esempio in Liberi dalla civiltà. Spunti per una critica radicale ai fondamenti della civilizzazione: dominio, cultura, paura, economia, tecnologia.

In effetti, le cose sono anche peggiorate. In I dannati il riferimento alla tecnologia è chiarissimo, quando si parla dei modelli di armi, e delle loro caratteristiche “vantaggiose”, che sono naturalmente quasi la preistoria della armi, un passo appena avanti ad archi e frecce. Mentre, gli armamenti e le risorse tecnologiche delle guerre contemporanee sono qualcosa di inimmaginabile per quella società della seconda metà dell’Ottocento…

I dannati così diventa una metafora universale sui conflitti umani che devono anche evolversi in una direzione ancora più “dannata”: per esempio un elemento importante è costituito dalla presenza dei cavalli, che sono fondamentali e che oggi non servirebbero a nulla. La presenza dei cavalli, come del resto dell’equipaggiamento di questi soldati è ancora aggrappato a un contatto con la Terra. E anche l’attraversamento di deserti, di montagne innevate, ricorda ancora le cattive condizioni climatiche che potevano condizionare le guerre.

Anche il riferimento all’oro è un segno di dannazione, della civiltà che è passata dalla semplice scoperta al dominio completo della Natura, come direbbe sempre Manicardi nell’opera succitata.

Roberto Minervini è riuscito a realizzare un film ancora più importante e fondamentale di quanto la solita critica/cricca “scema” può immaginare.

Dubitate se vi parlano di costumi, di dialoghi essenziali, non ce ne frega una mazza del solito inventario delle lusinghe. Questo non vuol dire che il film non abbia una fotografia eccellente, degli attori tutti scelti in modo magnifico per i loro corpi già significanti, ma guardiamo il tutto e convinciamoci che I dannati è il capolavoro di un grande autore che ci sta dicendo che la guerra è un inganno assoluto… e non ci resta che esserne profondamente consapevoli… tutti… per non ricadere nella sua trappola.

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