Vincent deve morire di Stéphan Castang: l’incubo della mente alveare

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Vincent deve morire


Stéphan Castang con Vincent deve morire dirige un horror che potrebbe esser scambiato per una sorta di variazione sul tema di Intrigo internazionale, tanto per citare un film seminale. Ed invece getta una luce chiarissima sul fenomeno della mente alveare

La mente alveare è tra di noi, l’uniformità del pensiero unico è solo un sintomo di una precisa appartenenza. O meglio, di una mutazione nella specie umana.

Così, piuttosto che la dinamica di Intrigo Internazionale di Alfred Hitchcock, che torna vividissimo col suo cinema un po’ criptofantascientifico, pensiamo a Gli uccelli, possiamo sicuramente citare la saga dell’Invasione degli ultracorpi (da Don Siegel fino a Ferrara passando per Kaufman).

In effetti, l’attacco a Vincent nel film di Castang avviene per una sorta di riconoscimento del “diverso”. Nel film viene descritto il gruppo di “sentinelle”, una sorta di umanità marginale alla quale non resta che rifugiarsi come può, per non essere attaccata ed eliminata dalle persone “invasate”.

Ma il film di Castang non suggerisce alcuna ipotesi, che sia quella di una frequenza elettromagnetica o una sorta di infezione collettiva e tratta i suoi personaggi che misteriosamente attaccano al pari di zombi semi dormienti, dato che il collega che pugnala Vincent nel colloquio successivo di giustificazione sembra svegliarsi da un sonno incomprensibile…

Vincent deve morire si dipana più sul percorso “uomo in fuga”, che deve sottrarsi continuamente al pericolo che ormai lo circonda da ogni parte. Tutti, infatti, possono attaccarlo, nel film si insiste su un riconoscimento derivante dallo sguardo, ma questo sembra poco più di un espediente narrativo.

La mente alveare fa di ogni individuo una possibile pedina per attaccare e sbarazzarsi di tutto ciò che non faccia parte del gruppo, di ogni individuo che non sia connesso alla mente (IA? intelligenza artificiale?).

Come si vede la parte da commedia risulta abbastanza goffa e insipida, peraltro appesantita da molte scene che si potevano tranquillamente tagliare per farne un’opera con una sintesi più efficace sul tema principale. Ma i due principali interpreti (Karim Leklou e Vimala Pons) sanno regalare molte sfumature, tanto che anche queste scene, come quella del bizzarro amplesso nello spazio ristretto dell’imbarcazione, risultano una carta molto originale.

Non si capisce come mai la sceneggiatura abbia lasciato alcune parti anche piuttosto banali come l’appartenenza o meno al gruppo umano “infettato”, visto che il protagonista Vincent (Karim Leklou) si ritrova lui stesso ad un certo punto “infettato” e poi le bende agli occhi risolvono in modo improbabile il tutto… Proprio questo elemento narrativo, basato su qualche sorta di contaminazione ambientale, rende più debole il tema della mente alveare e della intelligenza artificiale. Anche se quest’ultima non è neppure citata nel film.

D’altra parte, pur nella sua ambiguità quando il film cerca di mantenere insieme tante linee narrative e anche di genere, Vincent deve morire è un film perfetto per quanto riguarda l’atmosfera noir che prende lo spettatore dall’inizio alla fine. Vincent Must Die ci regala anche una delle migliori sequenze di titoli di apertura viste negli ultimi anni e una intrigante colonna sonora originale firmata da John Kaced.

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