Diciannove di Giovanni Tortorici, un film autentico sulla generazione Z

Diciannove
Giovanni Tortorici con Diciannove fa uno degli affreschi più autentici sulle generazioni giovanili, non solo quella dei diciannove anni, con un linguaggio prorompente, finalmente degno delle migliori estetiche del cinema
Ci sono tanti livelli di lettura di quest’opera cresciuta di sicuro in seno a una generazione che di solito è stata considerata piuttosto afasica, nonché incompresa.
E la sensazione è che Diciannove vomiti, o come si dice nel film, sbocchi impetuosamente i vari grumi sanguinosi: come la metafora tangibile della prima scena in cui il protagonista Leonardo perde sangue dal naso…
La madre lo rassicura che non è niente, che sono i capillari fragili della famiglia, ma anche attraverso tutti i vari liquidi, sangue, vomito, sperma, si capisce che Leonardo vuole esternare il suo percorso di ricerca, ma senza alcun compromesso.
Il percorso di questo ragazzo è senz’altro umorale al 90%. Non c’è un filo di razionalità, anche quando ricerca le fonti corrette che potrebbero definitivamente inchiodare un professore universitario sulle sue tesi interpretative improbabili e perfino la traballante questione del termine vespro o vespero… ma poi ci rinuncia.
Ci si rende subito conto che Diciannove è in grado di stimolare lo spettatore da molti punti di vista. Naturalmente il livello di lettura sociologico è quello con cui si scontreranno gli spettatori appartenenti a generazioni diverse: non è anche questo il compito di un film? Cercare di far condividere la percezione su certi aspetti che riguardano i ventenni di oggi?
D’altra parte proprio gli adulti sono descritti come una sorta di muro di gomma: prima la madre che non solo lo sommerge di ansie, ma anche è pronta ad insultarlo o a liquidarlo chiedendogli se ha bisogno di soldi. Il professore universitario rappresenta, senza tante esitazioni, l’intera arroganza di una classe di privilegiati, che andrebbe eliminata. L’Università italiana più importante per il corso di Lettere è Siena, ma è solo una stronzata uscita su Google. La realtà dei fatti è che l’insegnamento della pubblica istruzione è in mano a ignoranti e baroni che diventano veri e propri aguzzini per gli studenti. Gli altri adulti sono assenti, come il padre, mentre il proprietario della stanza a Siena, è un albergatore avido che affitta brutte camere a studenti.
Del resto qui tocchiamo il sistema di potere di cui si parla anche nel finale e sulla falsariga, ma non tanto, di una lettura di Pasolini, del tutto controversa…
Il problema di Leonardo è che non si rende conto di essere lui stesso una vittima del sistema ed ogni ribellione è impossibile, come quella tentata verso il professore universitario. Ma ancor peggio, quando Leonardo si masturberà davanti a Salò di Pasolini: dimostra di essere corrotto dalla stessa perversione di quegli aguzzini che nella scena si facevano spogliare una fanciulla per valutarne i seni. Il punto è che di fronte a questa scena bisognerebbe provare inquietudine e vergogna perché è la rappresentazione perfetta della mercificazione del corpo e della totale disponibilità di esso da parte dei potenti.
Nella scena finale abbastanza ambigua, possiamo dedurre che la tesi sopra è corretta: Leonardo è solo un poveraccio ed una vittima del sistema.
Ma vediamo appunto perché questa triste situazione riguarda quasi tutta la generazione dei ventenni e non solo.
Da alcuni anni sono ormai sradicati dalla loro terra: in nome della globalizzazione, che proprio in questi mesi è stata dichiarata ferita a morte, questi ragazzi dovevano muoversi, non restare nel luogo natale, perché “mancava il lavoro” (solito tormentone mainstream). Così si è creata una situazione schizofrenica, per cui tutti i giovani scappano dal luogo di nascita per cercare fortuna altrove.
In effetti, non si tratta solo di una emigrazione, ma dello stesso falso sviluppo indicato proprio da Pasolini. Vale a dire a suon di programmi esaltati come l’Erasmus, di borse di studio, di sedi universitarie di serie a e serie z. E naturalmente i movimenti migratori hanno già riguardato i paesi africani, ma i popoli di alcuni paesi europei sono stati anch’essi condannati all’emigrazione, che si tratti dei paesi dell’Est o del Sud Europa…
La situazione di Leonardo è quella di moltissime famiglie. I figli hanno lasciato il luogo natale, la sorella di Leonardo è a Londra, il cugino a Milano, e così via. Tutti i conoscenti sono sbarcati in vari posti, perché sembra che non si possa più restare… dove si è nati.
Lo sradicamento che hanno subito è uno degli aspetti della mutazione antropologica descritta proprio da Pasolini. Il capitale decide dove produrre, come e quando e le popolazioni sono soggette ai vari diktat, senza alcuna libertà di scelta.
Non è, infatti, un caso che proprio le scelte universitarie siano fatte seguendo mitologie, come quella delle facoltà economiche in Inghilterra, o la Bocconi a Milano… Ma anche quella delle facoltà umanistiche prestigioe è un imbroglio…
Altro tema è quello dell’educazione domestica, saper cucinare anche un uovo, tenere pulita una stanza, saper piegare un indumento, non devono essere argomenti disdegnati dai percorsi di educazione… Nella sua etimologia “educare” significa “condurre”, accompagnare il giovane in una crescita che ha bisogno di nutrimento a 360 gradi e non solo le solite scartoffie della storia, geografia, ecc… per giunta corrotte dal pensiero dominante.
In un flash vediamo anche i piccoli pulcini triturati perché non sono utili all’industria… si ricollega alla scelta di una dieta vegetariana di Leonardo… Non mi sembra che nelle scuole si faccia informazione su questi temi: alimentazione, salute, ecc. semmai la solita trita minestrina falso green, disposta dalle stesse élite. Ulteriore riflessione che rende, come dicevo più sopra, il film densissimo di stimoli.
Detto quindi di alcuni – non esaustivi, perché il film richiederebbe un volumetto – aspetti importanti messi in scena dal film, le riflessioni adesso toccano a chi vuole coglierle…
Per quanto riguarda l’estetica c’è una bella sorpresa, in quanto Tortorici usa qualsiasi strumento che rende visivamente interessante la visione: uno di questi è sicuramente il ralenti, ma anche le musiche che si scontrano con le immagini, secondo la vecchia, ma sempre efficace regola russa, e che passano dai classici ai refrain delle discoteche di oggi. Non meno fulminanti sono i viaggi lisergici, densi di visioni grottesche, allucinazioni, laddove la percezione anche quotidiana per un attimo è sospesa, come quando Leonardo guarda verso l’alto prima con un occhio e poi con l’altro temendo di aver perduto la vista… E infine, la grafica, i font delle didascalie che di solito sono scartati per i film, la scrittura come effetto, le lettere cubitali che ricordano Godard.
La sessualità di Leonardo più che una opzione queer dissacrante sa pertanto di confusione, di condizione che è stata scambiata come diritto di espressione. Ma eccitarsi per un barbone che si masturba su un treno, non mi sembra una grande conquista… Semmai riflette una situazione di impulsi immaturi che devono ancora trovare un percorso.
E del resto anche la scena finale fa da passe partout tra un prima e dopo, invitando Leonardo a una breve chiarificazione, prima di intraprendere un nuovo cammino… Forse la stessa impresa, difficile, durissima, ai nostri tempi, dell’intera generazione a cui appartiene e di quelle successive perfettamente indicate come ancor più problematiche…
Anche nella descrizione dei luoghi, forse inconsciamente, di Palermo vediamo più gli elementi di terra e acqua con il mare impetuoso, le montagne ispide, e gli anonimi edifici del percorso che dalla città va verso l’aeroporto, e poi di nuovo il mare in una breve sequenza. Mentre delle altre città vediamo anche il desiderio di bellezza, di cultura ed arte umana, a Siena soprattutto. Mentre Londra e Milano sembrano abbastanza tossiche, Torino celebra un breve sogno cinematografico prima di continuare il viaggio della vita.
Manfredi Marini nel personaggio di Leonardo merita un apprezzamento a parte, in quanto è riuscito, non sappiamo quanto in maniera naturale o spinto dalla direzione di Tortorici, a una perfetta goffaggine, semplice tenerezza, e amara ingenuità, ma anche la pervicacia arrogante quasi narcisa, che sono i tratti distintivi di quella che è stata battezzata come generazione zeta. In fondo sono giovani uomini e donne ancora in crescita, ed è questo un fattore di bellezza, se ne accettiamo tutte le caratteristiche senza moralismi.